Venezia e il carnevale. Una lezione completa per l’apprendimento dell’italiano per stranieri e l’italiano L2
Venezia e il carnevale
CICHÉTI E BÀCARI
Leggi il testo e dai un titolo a ogni paragrafo, come nell’esempio.
Origine delle parole “cicheti” e “bacari”_____________________________
Da cosa deriva la parola cicheti? Dal latino “ciccus “, piccolissima quantità. E bacari? Si dice che la parola derivi da Bacco o altrimenti da un detto di un gondoliere noto intenditore di vini che per esaltare un ottimo vino usava dire “è proprio un vino di bacche” (acini d’uva) e quindi un vino onesto.
A Venezia i “cicheti” si possono tradurre come stuzzichini. Anticipano il pranzo o la cena e molte volte sono una scusa per ubriacarsi: infatti molte volte si inizia con mezzo uovo e un bianco, un’acciughetta e un’altro bianco, una polpetta di carne e un rosso, e così via. Come avevo già detto sugli spritz anche per i cicheti vale la stessa regola: per assaporarne appieno l’atmosfera e la vera magia bisogna esagerare, mangiarne molti e bere molto.
I cicheti vengono serviti nei “bàcari”. I bàcari possono essere paragonati a dei pub e cioè punti di ritrovo di amici dove si parla, si mangiucchia e si beve. Invece al tempo dei nostri nonni i bàcari erano come delle trattorie dove non veniva servito un pasto completo, delle osterie dove c’era anche qualcosina da mangiare e non erano proprio di lusso. Anche adesso quando uno vuol descrivere un bar messo male dice che è un bàcaro.
In principio di cicheti non ce n’erano molti perché non c’era quell’abbondanza che abbiamo adesso e quindi il cicheto poteva essere un’ acciughetta, mezzo uovo, altri pesci magari fritti, le classiche olive senza osso farcite con il pezzettino di peperone, la trippa, la spienza (milza)…
Poi i bàcari sono praticamente scomparsi lasciando il posto ai bar con il toast e panini. Per dire la verità i pochi che erano rimasti erano descritti come bar per alcolizzati e quindi ci entravano solo vecchi con la barba perennemente da fare e con la puzza da vino vecchio e tabacco.
Ora però il bàcaro è stato riscoperto e si è trasformato in un locale finto malandato dove si può trovare praticamente di tutto: dal baccalà fritto, ai pomodori secchi sott’olio, olive e olivette, alle seppioline al forno ai crostini col baccalà mantecato, polpette, arancini, folpetti, nervetti con cipolla, fagioli e pure gli scampi fritti o mezzancolle infilate nello stuzzicadenti.
I gestori sono soprattutto giovani simpatici e con tanta voglia da fare. Se riesci a farti il giro sono delle vere e proprie miniere. Però bisogna lavorare molto ed offrire sempre roba fresca e varia. Gli orari giusti per provare un bàcaro sono le ore prima del mezzogiorno quando tutto viene fuori dalla cucina bello fresco ed anche la sera poiché molti piatti escono comunque a ritmo continuo.
QUALCHE ESEMPIO DI “CICHETI”
Scrivi queste parole nel testo:
I bacari sono dei tipici _ veneziani dove tra un bicchiere di vino e un _ (il tipico Spritz) si mangiano stuzzichini detti cicheti.
Il termine cicheti deriva al latino “ciccus” che significa piccolissima quantità: infatti il cicheto è generalmente uno _ che si mangia in un paio di bocconi o poco più.
Nei bacari oggi si può trovare praticamente ogni genere di cicheto: dal baccalà fritto o mantecato spalmato su crostini, ai pomodori secchi sott’_, olive e olivette varie, _ al forno, polpette, arancini di riso, folpetti, nervetti con cipolla, mozzarelle in carrozza, fagioli e pure gli scampi o mezzancolle
fritti. Naturalmente spesso anche i _ e i tramezzini, che però non sono propriamente dei cicheti “classici”.
Alcuni celebri cicheti
PEOCI GRATINAI
Cozze gratinate al forno.
MESO VOVO
Uova sode tagliate per lungo condite con olio, sale e pepe e guarnite con un’oliva o una cipollina o una acciuga.
MUSETO
Fettina di cotechino lesso, può essere servita posata su un letto di polenta gialla abbrustolita.
POLPETE
Polpette fritte di carne e pane imbevuto di latte, con prezzemolo e talvolta
aglio.
FOLPETI
Piccoli polipi lessati e conditi con varie salse a base d’olio d’oliva.
CAPESANTE
Grandi conchiglie a ventaglio su cui viene presentato il ripieno gratinato
VENEZIA GASTRONOMICA
1) cerca su internet la storia delle “sarde in saor” , tipico piatto veneziano. Dal testo che leggerai, scegli almeno 4 parole nuove (un verbo, un sostantivo, un aggettivo e una parola che vuoi tu). Preparati a raccontare la storia delle “sarde in saor” usando le parole che hai scelto.
2) trova su internet 3 posti dove mangiare economici e in centro.
Scrivi quanto tempo ci vuole per arrivarci da P.zza San Marco (a piedi, naturalmente).
LE MASCHERE TRADIZIONALI
Leggi questi 5 testi. Guarda le figure nella prossima pagina e completa con il nome della maschera.
LE MASCHERE TRADIZIONALI
Le maschere tradizionali veneziane
Alla scoperta delle più famose maschere tradizionali che popolano il Carnevale veneziano: la misteriosa Bàuta, la silenziosa moretta e molte altre maschere tipiche della Commedia dell’Arte di Carlo Goldoni…
La Bàuta o Bautta è la maschera più semplice e diffusa a Venezia.
Mantello nero, maschera e cappello sono gli elementi che la caratterizzano: il mantello nero per nascondere gli abiti, il pizzo sotto la base della maschera e il cappello a tricorno per nascondere il volto.
La Bàuta tra le diverse maschere permetteva un anonimato completo. Non si poteva identificare chi si celava sotto il mantello, se uomo o donna, povero o ricco signore.
Era sinonimo della completa libertà d’espressione, ecco perché quando se ne incontrava una tra le calli, si era soliti porgere un ossequioso inchino di rispetto.
La Moreta o Moretta, come espresso già nel nome, è la maschera di
colore nero usata dalle donne.
Molto particolare perché doveva essere sostenuta tenendo in bocca un
bottoncino all’altezza delle labbra. Dagli uomini era apprezzata perché
dava alla figura femminile quel fascino misterioso dato dal silenzio.
Il mattacino è una specie di pagliaccio con abito bianco o multicolore, leggero e corto, con in testa un cappello piumato. I mattacini a Venezia erano famosi per il lancio di “ovi profumai” (uova profumate) che lanciavano con le frombole. L’usanza era così frequente che, intorno a questi personaggi, si generò un vero e proprio mercato: a centinaia erano i venditori ambulanti di queste uova odorose che venivano lanciate verso balconi occupati da amici, conoscenti e da fanciulle innamorate.
Ma le maschere hanno trovato la loro consacrazione con il teatro: grazie al lavoro del drammaturgo veneziano Carlo Goldoni alcune delle maschere più popolari della Commedia dell’Arte diventano dei perfetti stereotipi, ottimi per rappresentare la società veneziana. Tra le principali maschere della
Commedia dell’arte troviamo Pantalone, anziano mercante ricco e avaro, Arlecchino, il servo imbroglione, Colombina, la servetta e amante di Arlecchino, e Pulcinella, un altro servo, ma di origine napoletana.
La storia delle maschere e le leggi del Carnevale
Nella cultura veneziana con il termine “maschera” si indica l’attività di “mettersi barba e baffi finti” e “maschera” era anche il soprannome dato alle donne che si travestivano da uomini e agli uomini che si travestivano da donne. Ben presto la maschera divenne simbolo della libertà e della trasgressione a tutte le regole sociali imposte dalla Repubblica Serenissima a Venezia…
La maschera, simbolo della necessità di abbandonarsi al gioco, allo scherzo e all’illusione di indossare i panni di qualcun altro, esprimeva quindi diversi significati: la festa e la trasgressione, la libertà e l’immoralità.
Allo scopo di limitare l’inarrestabile decadimento morale dei Veneziani, la Serenissima in varie riprese ha legiferato in materia di Carnevale e ha regolamentato l’uso delle maschere e dei travestimenti. Accanto alle maschere tradizionali veneziane troviamo anche le maschere della
Commedia dell’Arte, rese famose dal teatro ed in particolar modo dalle commedie di Carlo Goldoni.
La storia della maschera veneziana inizia già nel 1268, anno a cui risale la più antica legge che limita l’uso improprio della maschera: in questo documento veniva proibito agli uomini in maschera, i cosiddetti mattaccini, il gioco delle “ova” che consisteva nel lanciare uova riempite di acqua di rose contro le dame che passeggiavano nelle calli.
Sin dai primi del ‘300 cominciarono ad essere sempre più numerose le leggi che promulgavano decreti per fermare il libertinaggio dei veneziani del tempo e per limitare l’uso esagerato delle maschere.
Era proibito indossare la maschera nei periodi che non fossero quelli di carnevale e nei luoghi di culto, così come erano proibite le armi e gli schiamazzi di gruppo. L’uso della maschera veniva proibito alle prostitute e agli uomini che frequentavano i casini.
Questo perché spesso la maschera era usata per celare la propria identità e per risolvere affari poco puliti o portare avanti relazioni curiose.
Il diffuso uso della maschera da parte di Veneziani e dei turisti durante il periodo di Carnevale fece crescere la domanda e, di conseguenza, contribuì all’evoluzione della figura dei mascherai, gli artigiani della maschera.
La produzione di maschere si era così intensificata che nel 1773 esistevano ufficialmente botteghe di maschere a Venezia: poche se si considera l’uso che se ne faceva in quegli anni.
La richiesta di maschere ed il loro utilizzo era tale per cui si cominciarono a fabbricare molte maschere “in nero”, dando lavoro a tante persone e riuscendo così a intensificare la produzione e la diffusione a livello europeo.
Le maschere erano (e lo sono ancora oggi) fatte di cartapesta e ne venivano prodotti diversi modelli in diversi colori e decorati con gemme, tessuti e nastri.
Nel 1600 si abusava talmente dell’uso della maschera che al governo della Serenissima toccò fare delle regole che ne limitassero l’uso improprio e che invece ne scandissero l’obbligo in cerimonie ufficiali e feste pubbliche.
Una serie di decreti del Consiglio dei Dieci, limitarono infatti l’uso della maschera ai giorni di Carnevale e alle feste ufficiali prevedendo in caso di trasgressione pene molto pesanti.
Queste infatti, venivano usate durante molti mesi dell’anno: dal giorno di Santo Stefano, che segnava l’inizio del Carnevale veneziano, sino alla mezzanotte di Martedì Grasso che lo concludeva.
Vista l’usanza di molti nobili Veneziani che andavano a giocare d’azzardo mascherati per non essere riconosciuti dai creditori, nel 1703 vengono proibite per tutto l’anno le maschere nei Ridotti, cioè le case da gioco veneziane.
Nel 1776, una nuova legge, questa volta atta a proteggere l’ormai dimenticato “onore di famiglia”, proibiva alle donne di recarsi a teatro senza una maschera, la bauta, o il volto e il tabarro.
Dopo la caduta della Repubblica, il Governo Austriaco non concedette più l’uso delle maschere, se non per feste private o per quelle elitarie. Con l’inizio della dominazione austriaca il Carnevale di Venezia attraversò una fase di decadenza. Solo durante il secondo governo austriaco fu permesso di nuovo di utilizzare le maschere durante il Carnevale.
Il governo italico si dimostra più aperto ma questa volta sono i Veneziani ad essere diffidenti: ormai Venezia non era più la città del Carnevale ma solo una piccola provincia dell’Impero, quindi senza più libertà…